Gli Autori

Paolo Plini

Responsabile del sito

Mauro Depetroni

Co-responsabile

Carlo Vicentini

Biografia

Nasce a Bolzano il 12 dicembre 1917, si trasferisce a Roma, nel 1931.
Dopo la laurea frequenta la Scuola Militare Alpina di Aosta e nel 1941 è nominato sergente. Prosegue la formazione militare presso la Scuola Allievi Ufficiali di complemento alpini di Bassano, conseguendo il grado di sottotenente. Il 23 aprile 1942 firma la richiesta per essere assegnato al fronte russo, dove arriva nel giugno dello stesso anno come ufficiale comandante il Plotone Comando del Battaglione Alpini Sciatori “Monte Cervino”.
Fatto prigioniero il 19.1.1943.
Detenuto a Kalač ai primi di febbraio 1943.
Trasferito a Mičurinsk dalla fine di febbraio 1943 al 25 marzo 1943.
Trasferito a Oranki dalla fine di marzo 1943 a ottobre 1943.
L’ultimo trasferimento a Suzdal’ dal 15 novembre 1943 fino al 1946, anno della sua liberazione.
Decorato di due Medaglie di Bronzo è stato Presidente Nazionale dell’UNIRR.
Dal 1992, dietro incarico del Gen. C.A. Gavazza, ha effettuato un lavoro di traduzione dei faldoni sovietici contenenti l’elenco dei prigionieri. Ha poi condotto una minuziosa ricerca dei luoghi di sepoltura dei prigionieri.
È autore di “Noi soli vivi”, un libro sulla sua esperienza in Russia e in particolare sui campi di prigionia sovietici; “Rapporto sui prigionieri italiani in Russia”, rassegna sui numeri e sulle fasi della prigionia dalla cattura alla liberazione, scritto insieme a Paolo Resta; “Il sacrificio della Julia in Russia”.
Muore il 17 febbraio 2017.

Li hai cercati per tutta la vita in un’altra neve, in un altro freddo, in un altro ghiaccio. Hai chiesto ad ogni filo d’erba dove han dormito, ad ogni cristallo di neve dove erano sepolti, all’ombra del vento i loro nomi. Ti sei fatto voce, sogno, padre, e rivedi tutta la tua vita come un’eterna speranza. Rinasceranno nei tuoi occhi e nel tuo ultimo sorriso.

Franco Cabrio

Ci siamo conosciuti dieci anni fa. Avevo mandato all’UNIRR la copia di un articolo sulla geografia della Campagna di Russia, e tu mi hai telefonato. Dopo qualche momento di imbarazzo da parte mia, abbiamo cominciato a parlare e abbiamo concordato un incontro a casa tua. Ci siamo subito trovati a proprio agio, passare al tu è stato inevitabile, come si conviene tra alpini.

Avevamo tante cose da dirci, tu avevi piacere nel raccontare e io avevo un gran bisogno di imparare. Non è mai stata, però, una conversazione a senso unico; da parte tua c’era molta curiosità nel capire l’approccio che avevo scelto per la mia ricerca. Mi hai fornito una enorme quantità di materiale, concedendomi una fiducia della quale sono fiero e che mi sono sempre sforzato di ricambiare.

Ti piaceva stare in compagnia e andare a pranzo insieme; era un modo per godere reciprocamente della presenza dell’altro.

Sapevi “smanettare” al computer come mai mi era capitato di vedere in una persona della tua età. Certo, ogni tanto il tuo database perdeva qualche record e mi chiedevi di recuperarlo, ma non perdevi una battuta di quello che stavo facendo.

Siamo stati anche in trasferta insieme, a San Stino di Livenza. Ricordo il tuo cappello poggiato sul cruscotto a mo’ di frittella e tu che mi raccontavi le vicende che lo riportarono in Italia prima di te.

Non ti ho mai sentito lamentarti di quello che ti capitò in Russia, anzi, riuscivi a raccontare gli eventi con straordinaria precisione ma con un pizzico di ironia che ne stemperava la tragicità. Non hai mai fatto distinzioni fra alpini e non; chi era stato in Russia meritava considerazione e rispetto. Ma non riuscivi a sopportare i racconti di chi, a tuo avviso, non era stato all’altezza del compito assegnatogli.

Parlavamo spesso di libri, ti raccontavo dei miei acquisti e ti piaceva farmi vedere i tuoi volumi, zeppi di note che aggiungevi di tuo pugno ogni volta che trovavi errori o imprecisioni. Era una cosa che ti mandava in bestia, non sopportavi che si potessero scrivere castronerie. Mi hai regalato i tuoi due libri che custodisco gelosamente, concedendomi due dediche che mi hanno inorgoglito.

Dopo qualche anno che ci frequentavamo, abbiamo cominciato a parlare anche di altre cose, lavoro, amici, famiglia, figli e nipoti. Di Russia forse ne avevamo parlato abbastanza, anche se ogni tanto ci tornavamo sopra. La tua cucina si trasformava in un salottino, in cui chiacchierare mentre preparavamo il pranzo.

Poi ti lasciavo al tuo riposino pomeridiano e ogni volta che ci salutavamo, capivo quanto fossi stato contento della mia visita. Negli ultimi anni la memoria cominciava ad abbandonarti, ma nonostante questo abbiamo sempre passato dei piacevoli momenti.

Al compimento dei tuoi 99 anni hai voluto festeggiare con gli amici, l’invito era naturalmente scritto a mano. Ti sarai stancato maledettamente ma, come al solito, non hai mollato. Abbiamo passato una bellissima giornata, sei stato al centro dell’attenzione e quando ci siamo salutati sembravi veramente soddisfatto. Ne abbiamo parlato qualche settimana dopo, quando sono passato a salutarti e mi hai fatto vedere i regali che ti erano stati fatti.

Non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che ti avrei visto e parlato. Poi ho saputo da Franco che eri in ospedale. Non sono rimasto sorpreso, sapevo che prima o poi sarebbe capitato qualcosa, ma è stato molto, molto difficile accettarlo.

Tra alpini si usa dire “per non dimenticare”. Ecco, spero che queste poche righe rappresentino il mio contributo affinché questo non capiti a chi ti ha conosciuto. A me non succederà di certo!

Mandi Carlo! Con tanto affetto e gratitudine. È stato un privilegio conoscerti.

Paolo

 

Post scriptum

Cristina ed io siamo appena tornati dal tuo funerale. Ho avuto l’onore e il piacere di portare il medagliere dell’U.N.I.R.R.; non poteva esserci occasione migliore.

È stata una bella cerimonia, chi ti voleva bene non è mancato. Si dice sempre che gli alpini non piangono. Sarà, ma io di lacrime ne ho viste parecchie, comprese le mie.

Dopo la cerimonia abbiamo pranzato insieme a Franco e Dario; è stato un bel modo di ricordarti. Per inciso c’eri anche tu, o meglio il tuo cappello.

Adesso ti lascio, ci sono decine di migliaia tra caduti, dispersi e morti in prigionia che vorranno conoscerti e ringraziarti per tutto quello che hai fatto per loro.
Sit tibi terra levis.

Lettera dimissioni UNIRR

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